“IL LUCCIO” di Luca Maffucci


Il Luccio” di Luca Maffucci

“Sai che nello spazio non c’è gravità e gli astronauti galleggiano nell’aria?”

Jeroen era così. Aveva quella curiosità genuina e fanciullesca che, abbinata alla sua passione per determinati argomenti, lo portavano a volerne sapere di più, ad informarsi. Era successa la stessa cosa qualche mese prima, quando l’Ajax aveva raggiunto per la prima volta la finale della Coppa dei Campioni. Jeroen aveva imparato gran parte delle biografie e delle carriere dei suoi calciatori preferiti, nutrendo grandi speranze per il successo finale. La partita andò in tutt’altra direzione, il Milan trionfò 4-1, ma Jeroen, nonostante le lacrime trattenute a fatica a fine partita, non si perse d’animo, nutrendo grandi speranze per il futuro di quella squadra così giovane. 

Era diventata un’abitudine, in queste ultime settimane, trovarlo a sedere il pomeriggio sul marciapiede davanti alla sua villetta con una copia di Randstad in mano. La cosa fuori dall’ordinario era che Jeroen aveva 7 anni. Quando apriva il giornale di fronte a sé, quasi ci scompariva dietro ed aveva molta difficoltà a girare le pagine senza accartocciarle. Il quotidiano gli veniva concesso solo dopo che aveva finito di leggerlo il padre, Martijn, e questo avveniva solamente qualche ora dopo essere tornato dal lavoro alla Philips. 

Quello su cui Jeroen bramava di informarsi, nelle ultime settimane, era solo e soltanto un argomento: lo sbarco sulla Luna. 

Oggi era finalmente arrivato il gran giorno. Si percepiva sin dalla mattina, che quella sarebbe stata una giornata diversa dalle altre. Era una domenica di Luglio, ma tutta la giornata si era svolta in funzione di quello che sarebbe successo quella notte, di lì a breve. Si notava anche dalle abitudini, completamente sballate: chi rimaneva a letto fino a tardi la mattina, per riuscire a rimanere sveglio praticamente tutta la notte. Chi aveva fatto un riposino nel pomeriggio, per recuperare qualche ora di autonomia. Chi sarebbe andato a letto molto presto la sera, puntandosi la sveglia nel cuore della notte per alzarsi. Molti negozi ed uffici pubblici avevano modificato straordinariamente gli orari di apertura dell’indomani, posticipandoli di qualche ora o scalando direttamente al pomeriggio. 

“No Jeroen, non lo sapevo. Quindi, se non prendono bene la mira, rischiano di vagare nello spazio per sempre?”. Si divertivano a prendere in giro Jeroen, anche se in quel caso non erano andati troppo lontano dalla realtà. Quella sua fame di conoscenza era facilmente scambiabile per saccenteria, soprattutto dai suoi pari età, il che lo rendeva facilmente un bersaglio. “No, non può succedere, sono legati..” Jeroen fu interrotto nella sua ennesima spiegazione da qualcuno che bussò alla porta. Niente di strano, se non fosse per l’orario: erano da poco passate le due di notte. Fu insolito anche, per quell’ora, vedere uscire Kim, la madre di Jeroen, dalla cucina, pulirsi le mani al grembiule ed andare ad aprire la porta. 

Stava tutta lì, in fondo, la straordinarietà di quella notte. Trasportare tutti i normali gesti quotidiani in una dimensione inusuale, quella notturna. Tutto sembrava rallentato. Quando venivano poste delle domande, anche banali, ci voleva sempre qualche attimo più del dovuto per formulare una risposta. Quasi come se anche gli impulsi che partivano dal cervello, fossero stupiti e non particolarmente ricettivi per dover entrare in attività a quell’ora. E poi, si bisbigliava. Senza un vero motivo. Tutti nella villetta erano svegli, i vicini stessi erano ospiti lì, non si correva il rischio di svegliare nessuno. Ma si teneva comunque un tono di voce molto basso, come se la notte richiedesse un tributo di silenzio da rispettare. 

Nei minuti successivi altri amici e vicini di casa bussarono alla porta, aggiungendosi al già ben nutrito gruppo di persone. Ognuno portava qualcosa da mangiare o da bere, che veniva appoggiato sul tavolo dietro al divano dal quale chiunque poteva servirsi. 

Molto presto, i posti in prima fila a sedere sul pavimento cominciarono ad esaurirsi. Quelle postazioni erano, implicitamente, riservate ai bambini. Si innescò una reazione a catena, poiché nessuno voleva sedersi troppo nelle retrovie, con il rischio di precludersi una visuale decente verso la televisione, l’elettrodomestico che di lì a poco avrebbe catalizzato l’attenzione di più di una dozzina di persone. Gli adulti si posizionarono sul divano e sulle sedie. Solo la poltrona rimaneva libera. Tutti sapevano che quello era il posto di Martijn, il padrone di casa. Il telecomando giaceva lì sopra, altro simbolo di riconoscimento dell’autorità, soprattutto in una serata come quella. Anche molti degli amici e dei vicini di casa presenti lavoravano alla Philips, ma Martijn era il più alto in grado, nonostante non fosse il più anziano. La sua era stata una scalata rapida, partendo dalla linea di produzione ed arrivando ad essere il responsabile del controllo qualità degli apparecchi. 

In realtà, questa ascesa di carriera, non era stata completamente indolore. Martijn si era buttato anima e corpo nel lavoro dopo aver subito un grave lutto in famiglia. Il fratello, Peter, di un paio d’anni più grande, fu trovato morto in un canale, dove stava pescando. Nessuno sa cosa sia successo, probabilmente un malore, nonostante la giovane età. Fu trovato a faccia in giù nell’acqua, con un luccio di piccole dimensioni ancora attaccato all’amo. Anche Peter lavorava in fabbrica alla Philips e dopo la sua scomparsa, in un gesto di solidarietà, i datori di lavoro di Martijn lo spostarono dalla linea agli uffici, dandogli così la spinta necessaria per crescere professionalmente e lui non si era lasciato sfuggire l’occasione. 

Non era un uomo di molte parole, Martijn. Non aveva pianto per il fratello. Non aveva espresso dolore con le parole. Era stato vicino ai suoi genitori, ancora entrambi in vita all’epoca, facendosi carico di tutte le incombenze pratiche da sbrigare. Raramente aveva cercato conforto nella moglie, la quale si crucciava dell’impossibilità di sapere cosa passasse per la testa del marito. Non riusciva a dargli sollievo come avrebbe voluto. La reazione più tangibile era stata quella, appunto, di concentrarsi sul lavoro, arrivando in ufficio per primo e lasciandolo per ultimo. Questo impegno era stato notato e, unito ai buoni risultati, gli aveva permesso di raggiungere rapidamente il ruolo di responsabilità che ricopriva attualmente. 

Era questo che stava raccontando Jeroen, a bassa voce, con i modi e le parole di un bambino di 7 anni ai suoi coetanei, soffermandosi più sui fatti che sulle emozioni. Aveva paura di essere sgridato dalla madre per condividere racconti di famiglia così intimi e dolorosi. Una volta che tutti i bambini furono seduti a terra, l’attenzione e la curiosità furono inevitabilmente attirate da quella statuetta raffigurante un pesce, poggiata sull’elettrodomestico. 

“E’ un luccio”, spiegò Jeroen. Suo zio Peter era appassionatissimo di pesca. Sapere che era mancato facendo quello che amava era una magra consolazione. Quel luccio, in realtà, era un trofeo, vinto quando Peter aveva più o meno l’età di Jeroen. Fu il suo primo trofeo, a cui ne seguirono pochi altri, tutti perlopiù in giovane età. Era di bassa qualità, di scarsa fattura e non particolarmente piacevole esteticamente, eppure Peter ne era orgogliosissimo. Lo teneva in bella vista in camera sua, lo spolverava regolarmente e con cura. Martijn non ebbe dubbi, quando si trovò a svuotare la camera del fratello. Era quello l’oggetto che voleva portare con sé per alimentarne il ricordo. Era l’unico oggetto, insieme a pochissime foto di famiglia, che era legato emotivamente al fratello scomparso. 

Si sentirono dei passi al piano di sopra e Martijn apparì in cima alle scale. Le scese ed arrivò in salotto, dispensando sorrisi abbozzati ai presenti e dando pacche sulle spalle.  Nonostante fossero quasi le due di notte, Martin appariva in perfetto ordine. Nessuno avrebbe saputo dire se si fosse appena destato o se fosse rimasto sveglio fino a quel momento. 

Posò brevemente la mano sulla testa di Jeroen e si sedette in poltrona. Prese il telecomando in mano. Un fugace sguardo al luccio. 

Click. 


Luca Maffucci

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